Mike Bongiorno: il suo modo di fare storytelling
Pochi giorni fa è stato celebrato il decimo anno dalla morte di un grande conduttore televisivo: Mike Bongiorno. Mi ricordo le sue simpatiche gaffe, il suo modo di parlare e le serate trascorse guardando “La Ruota della Fortuna”, uno dei suoi programmi di successo.
La conduzione di Mike era un mix vincente di eleganza, simpatia e professionalità.
Vi starete chiedendo come mai abbia deciso di parlarvi di lui e di legare la sua figura allo storytelling. Procediamo per gradi, vi va?
L’ispirazione per scrivere questo articolo è giunta quasi per caso. Era sera e stavo guardando uno speciale in seconda serata che ripercorreva la vita, i programmi ed il modo di fare del Conduttore. Questo modo di definirlo è un po’ stretto, infatti Mike è uno dei padri della televisione moderna.
Ma torniamo a noi. Ero lì, affascinata dalla sua storia, quando all’improvviso suo figlio Nicolò inizia a raccontare un anneddoto legato al modo di lavorare del padre. Rimango basita, prendo subito carta e penna e butto giù lo spunto. Come avevo fatto a non pensarci prima?
La nascita dello storytelling in TV
Il nostro viaggio inizia da lontano. Mike Bongiorno nacque a New York nel 1924 e, in seguito alla separazione dei genitori, giunse in Italia con la madre stabilendosi a Torino. Il suo sogno era quello di diventare giornalista ma la sua aspirazione fu messa a dura prova a causa della guerra. Divenne partigiano, venne catturato dalla Gestapo e deportato in vari campi di concentramento. Dopo la sua liberazione, nel 1945, decise di tornare a New York e di iniziare a lavorare prima come giornalista e poi come tecnico, speaker e programmatore radiofonico. Fu proprio grazie alla radio se tornò in Italia e divenne l’uomo che tutti noi conosciamo.
Mike è sempre stato molto moderno, quindi non si tirò indietro quando nel 1977 un giovane Silvio Berlusconi gli propose di entrare nella squadra della prima televisione commerciale: Mediaset. Questa scelta permise di arricchire il mondo televisivo rompendo il dominio avuto fino ad allora dalla RAI.
Ma la sua modernità e la sua visione così aperta derivano dalla sua origine americana. In America infatti erana consuetudine che le trasmissioni televisive accettassero di pubblicizzare aziende e prodotti in cambio di denaro. In Italia, invece, la pubblicità aveva un suo spazio dedicato nella fascia oraria tra le 20:50 e le 21:00, era un appuntamento atteso soprattutto dai bambini che, spesso, si sentivano dire dai genitori “Dopo Carosello, a nanna!”.
Fino ad ora non c’è nulla di particolare in questo articolo: ho parlato di Mike, della nascita della televisione commerciale e del ruolo della pubblicità nell’Italia dell’epoca. Forse non sapete però che il primo a portare gli sponsor all’interno delle trasmissioni televisive italiane fu SuperMike, aggiungendo il suo ingrediente speciale: il racconto.
La televendita deve raccontare
Nicolò Bongiorno ricorda che per suo padre gli sponsor, ed il rispetto per essi, era molto importante. Ma non erano gli autori o la dirigenza a scegliere quali aziende inserire nei suoi programmi: era lui stesso.
Prima di decidere se accogliere una determinata azienda, Mike voleva visitarne la sede, vedere la linea produttiva, assicurarsi che tutto fosse a norma e, in ultimo ma non per importanza, provare personalmente il prodotto. In realtà Nicolò ricorda che spesso, a casa, tutta la famiglia doveva provare l’articolo di turno condividendo le opinioni.
È questa parte dell’intervista che mi ha acceso una lampadina: Mike provava il prodotto, andava a conoscere l’azienda, incontrava le persone che lavoravano in quel luogo e non voleva un copione per promuovere l’articolo durante la sua trasmissione. Il conduttore raccontava la sua esperienza, usava le parole che avrebbe utilizzato chiacchierando con i suoi cari e per questo motivo ogni spot era diverso ed unico perché traeva spunto dalla profonda conoscenza del marchio, della sede e della produzione.
“Volevano messaggini scritti, sceneggiati convenzionali, separati dal quiz. Io invece non leggevo nulla, ne parlavo alla mia maniera”.
La televendita di Mike, attingendo dalla sua esperienza diretta, diventava più coinvolgente. Quello che faceva Mike Bongiorno non era pubblicità ma una più ampia operazione di marketing. Era storytelling, narrazione di un’esperienza personale. Non so quanto ne fosse consapevole, certo rivoluzionò il modo di promuovere attraverso il mezzo televisivo.
Guardate ad esempio la prima volta in cui parlò di Rovagnati, in questo video:
Osservando il filmato notiamo alcuni elementi vincenti del suo storytelling:
- Un tono informale.
Mike parla al pubblico come se fosse a casa, come un amico, un vicino di casa di cui fidarsi; - Un linguaggio quotidiano.
No a termini troppo complicati, il messaggio doveva essere di facile comprensione; - Il racconto di un’esperienza personale
Durante la televendita spesso racconta episodi legati alla visita in azienda.
Provare il prodotto in prima persona: fu il primo degli influencer?
Ammettetelo: da questo punto di vista il lavoro che già faceva Mike Bongiorno è molto simile a quello degli Influencer di oggi. Credo sia stato il precursore di un ruolo che all’epoca non esisteva. Mike provava di persona, visitava lo stabilimento, approfondiva la conoscenza dell’argomento e, dovendoci mettere la faccia, si sincerava che tutto fosse all’altezza delle aspettative dei telespettatori (i suoi followers). Gli ingredienti ci sono tutti.
Non so se la pensiate come me, ma mi piace l’idea di congedarmi da voi con il motto di Mike:
Amici ascoltatori, Allegria!