Tre questioni che dovrai affrontare per imparare a narrare la tua impresa
A Milano, all’ombra dell’Università Cattolica, c’è un gruppo di imprenditori e imprenditrici che crede nell’aggiornamento continuo. Hanno unito le forze in un’associazione che si chiama Long Life Learning Club.
Ho conosciuto Andrea Chiapparini, uno dei fondatori, e venerdì scorso sono stato suo ospite e relatore in una giornata dedicata alla narrazione dell’impresa e dell’imprenditore. Con esempi ed esercitazioni in aula, i partecipanti hanno preso consapevolezza del ruolo strategico di valori, qualità, esperienze inquadrate in un percorso di comunicazione autentico e strutturato. Per l’occasione ho mostrato quanto internet e i social media possano oggi offrire opportunità – impensabili per le PMI fino a pochi anni fa – nel veicolare le strategie di storytelling aziendale.
Tre spunti sono emersi dal confronto in aula e ho ritenuto utile appuntare in questo articolo:
1) DI ME PUOI FIDARTI PERCHÈ
È la risposta che giustifica lo sforzo del raccontarsi. Attraverso le storie riveliamo la nostra identità, trasferiamo il nostro mondo di valori, mostriamo cosa ci differenza dagli altri: in altre parole, usciamo dall’anonimato e prendiamo forma nella testa dei nostri interlocutori. In aula mi ha colpito la determinazione e la tempra di alcune imprenditrici nel raccontare la consapevolezza del loro ruolo. Come Barbara, seduta accanto a me. Ha detto “Sono un’imprenditrice di cui ci si può fidare perché innanzitutto sono una mamma. E, come ogni mamma, so cosa significhi assumersi la responsabilità di altri”. Chapeau.
2) SCONFITTE
Più di un imprenditore in aula ha raccontato dei momenti cupi della propria attività, e del riscatto conseguente ad una tenace ricerca di soluzione. Le loro storie hanno preso l’attenzione. Hanno dimostrato quanto la discesa negli inferi e il ritorno da eroi rappresenti una struttura narrativa avvincente e stimoli l’immedesimazione di chi l’ascolta. Ecco perché le sconfitte non dovrebbero essere un tabù nel racconto d’impresa. Non sono un vanto ma nemmeno qualcosa da nascondere.
3) VANITÀ
“Non è vanità il raccontarsi per vendere. Dimentichiamoci quella paura che ci schiaccia e ci costringe ad essere socialmente accettabili. Se quel che racconti è vero, stai semplicemente dando concretezza alla storia di te.”. L’ha detto Glenda Pagnoncelli, la bravissima coach che ha guidato la giornata sul tema del raccontarsi. Trovo che quelle parole siano una risposta chiara e solida a tante incertezze che albergano nella mente di chi si avvicina alla straordinaria disciplina del raccontarsi per vendere.