Storytelling aziendale: quali storie NON raccontare
Mi colpì la domanda che una persona mi rivolse in un’aula di formazione: esistono storie da non raccontare? In altre parole – spiegò meglio – una strategia di storytelling che attinge al patrimonio di episodi aziendali può arrivare a raccontare storie scomode che parlino di sconfitte, paure, delusioni, errori maturati nella vita d’impresa?
L’origine dell’interrogativo mi è chiaro, conoscendo la naturale predisposizione di molte imprese a nascondere sotto il tappeto ogni scricchiolio che possa suggerire debolezza. Un pensiero che alimenta forme comunicative piatte e omologate: gli esasperanti leader del settore e servizi a 360 gradi di cui sono colme le pagine About Us di tanti siti, ad esempio.
Quelle storie, al contrario, se ben incasellate in un piano editoriale con i metodi di storytelling, sono un ideale completamento della narrazione, delimitano i confini della personalità di un marchio, trasmettono autenticità e fiducia. E sono tutt’altro che banali. Come spesso ricorda la mia amica Alessandra Perotti, editor e writer coach, non esistono storie banali ma modi banali per raccontare le storie.
Scelta sbagliata non andare oltre all’imbarazzo di quegli episodi imperfetti e non provare a cercarne una chiave di lettura strategica.
Tutte le storie sono raccontabili a condizione che siano utili per il lettore.
Perciò come per le storie d’impresa a lieto fine invito chi scrive a fuggire dall’autocelebrazione, per quelle di disagio l’insidia è l’autocommiserazione.
Una storia è buona se lascia qualcosa a chi la incontra:
– suggerisce come risolvere un problema
– soddisfa un interesse, una curiosità
– offre un’emozione
Tre situazioni che corrispondono alle tre leve dell’attenzione: i bisogni, gli interessi e le emozioni. Sono le tre condizioni che, se soddisfatte (una sola o tutte), lasciano il destinatario della comunicazione appagato. Sarà felice del tempo dedicato a un contenuto incontrato sulla bacheca di un social, tra le pagine di un giornale o tra i risultati di una ricerca in Google.
Non esistono, quindi, storie da non raccontare. Puoi eventualmente omettere elementi che necessitino di riservatezza, che riguardino brevetti, la privacy delle persone, equilibri delicati nei rapporti di lavoro. Ma la retorica e un buon vocabolario offrono tanti modi per aggirare anche quegli ostacoli.
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