Cosa unisce lo storytelling d’impresa alla filosofia antica
Quali connessioni esistono tra il mio lavoro e l’eredità tramandata dai maestri della filosofia? Me l’ha chiesto Michele Casiero per il canale Telegram Appuntosofia. La domanda mi ha portato a ritrovare vecchie nozioni apprese sui banchi del liceo.
Ci tengo a precisare: non ero uno studente ligio ai propri doveri allora, e un po’ mi mette in imbarazzo entrare in un territorio, quello della filosofia, in cui certo non eccellevo.
Io mi occupo di marketing digitale, o meglio di strategie di storytelling digitale. Lavoro con le piccole imprese, le aiuto a narrarsi attraverso internet e i social media, a raccontare come risolvono problemi ai clienti.
Le storie sono un patrimonio straordinario: trasmettono insegnamenti, valori in cui identificarsi e l’identità di chi narra. Le parabole dei Vangeli ne sono un esempio.
È innegabile quanto la narrazione, quella finalizzata agli scopi commerciali (il vendere), tragga giovamento dagli insegnamenti della cultura classica. La retorica innanzitutto. Se è vero che la retorica è espressione della filosofia, ed è anche uno strumento del narratore, ne consegue quanto narrazione e filosofia vadano a braccetto.
Ecco, ho fatto un sillogismo: se non sbaglio, è qualcosa che ho imparato a scuola.
La retorica ci ha insegnato a raccontarci per immagini e simboli, per farci capire meglio dall’interlocutore, per entrargli in testa. Proprio come fanno la pubblicità e la narrazione d’impresa: io, piccolo imprenditore, ti racconto quale soluzione ho trovato per un cliente che si è presentato da me con un problema; ti illustro il contesto iniziale, le difficoltà incontrate lungo il percorso, il superamento dei passaggi critici, il lieto fine della vicenda.
Attraverso la narrazione trasmetto i valori che mi contraddistinguono: il prendersi cura del cliente e la competenza.
Nel linguaggio commerciale c’è una formula che viene definita call to action: “Acquista adesso”, “Scopri di più”, “Abbonati”, per fare qualche esempio. È un imperativo, un invito all’azione che il venditore esperto colloca in un punto preciso del suo argomentare.
Dove ha imparato a farlo – pur senza saperlo – se non da Cicerone?
Inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio: così il padre della retorica ci ha insegnato a preparare un discorso, suggerendoci di partire dalla ricerca delle idee fino ad arrivare alla declamazione, passando per l’organizzazione degli argomenti, la scelta stilistica, la memorizzazione.
E quali sono i pilastri di quello stesso argomentare per attrarre attenzione, fiducia e vendere? È Aristotele ad indicarli: Ethos, Logos e Pathos, tre concetti che si traducono in un richiamo all’autorevolezza di quanto enunciato, alla solidità logica e alla forza emotiva, i fondamenti della comunicazione persuasiva, ieri come oggi.
Insomma siamo figli di un patrimonio immenso. Ne beneficiamo senza averne consapevolezza. Trovo curioso questo fatto: in un epoca di grandi cambiamenti tecnologici, economici, sociali, i nostri punti fermi sono gli stessi di sempre: retorica, narrazione e parola.
È qualcosa che fa guardare con fiducia al futuro.