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Fulvio Julita

Mi occupo di storytelling d’impresa applicato a strategie di marketing digitale. Aiuto le imprese a comunicare meglio, valorizzare la loro identità e vendere. Ho scritto "Raccontarsi online - Dal freelance alle piccole e medie imprese: storytelling per il marketing digitale" (Hoepli editore).

Piccole imprese e mercati esteri: gestire lo storytelling in più lingue

Saremmo campioni di comunicazione, noi italiani su internet, se solo ci lasciassero gesticolare anziché scrivere. Ma così non è. Per cui togliamoci dalla testa che una strategia di storytelling – e di marketing in genere – sia una passeggiata quando fai business con un paese estero e la comunicazione viaggia attraverso la rete. Lì, sul web, non siamo l’italiano in vacanza, che ciondola in infradito per le vie di una città mai vista prima.

Il mercato è feroce con chi l’affronta alla leggera. Soprattutto quando sei lo straniero che vorrebbe portare aria nuova.

Organizzare la comunicazione digitale di una piccola impresa che lavora con l’estero richiede attenzione. Disporre di un pubblico frammentato comporta più costi e più lavoro di gestione della comunicazione. Inoltre le aspettative del potenziale cliente sono spesso più alte: chiede che almeno venga giustificato lo sforzo di importare un prodotto o un servizio che sarebbe reperibile anche nel mercato interno.
Prima di agire, vanno perciò ponderati quattro fattori: linguistici innanzitutto, ma anche commerciali, culturali e tecnologici. Vediamoli assieme.

Storytelling e mercati esteri, strategia piccole imprese
© Tokyo – Foto di Lorenzo Lucca

Fattori commerciali da valutare per pianificare la narrazione digitale

La politica commerciale di un’impresa non è mai un copia-incolla da un paese all’altro. Spesso le circostanze richiedono scelte distributive differenti. Articoli che in Italia sono best-seller altrove potrebbero non funzionare, requisiti normativi o più semplicemente difficoltà logistiche potrebbero imporre riflessioni su prodotti, servizi e argomenti di vendita: sono tante le variabili in gioco poiché ogni territorio è un contesto di vendita a sé.

Nel libro Raccontare le imprese dedico un capitolo a Pronema, azienda produttrice di tende da sole. Descrivo l’intensa campagna di informazione sul valore della riqualificazione energetica degli edifici: le tende da sole e le altre schermature solari (come le tapparelle, le veneziane, le persiane) proteggono le abitazioni dal caldo estivo e limitano la necessità di accendere il climatizzatore. Ragione per cui beneficiano di specifici incentivi fiscali, i cosiddetti EcoBonus.
Si tratta di un argomento di vendita attraente per il consumatore, quello del risparmio fiscale, ed un filone tematico portante della comunicazione sui canali digitale dell’azienda. Ma solo in Italia.
Oltre confine il vantaggio fiscale non è previsto, essendo un’iniziativa del nostro Governo. È quel genere di situazione che costringe la rete vendita a trovare leve commerciali specifiche per l’estero: cambia il contesto, cambiano gli argomenti commerciali.

Leggi anche:  Raccontare le imprese – Storie di gente intraprendente che cavalca internet controcorrente

A volte sono invece gli accordi tra aziende a costituire un elemento critico.
Ricordo di un cliente a cui era stato concesso l’utilizzo di un marchio alimentare coperto da copyright, ma solo entro i propri confini nazionali. Gli fu in seguito contestato un uso illegittimo in quanto il marchio appariva dalle ricerche in Google eseguite all’estero. Situazione surreale: puoi essere padrone delle tue azioni, non di quelle di un motore di ricerca. Come puoi limitare l’algoritmo nel rilanciare le informazioni trovate in un sito italiano? La vicenda si risolse con la completa rinuncia alla commercializzazione.

Evidente che a logiche specifiche per ogni regione commerciale corrispondano appropriati contenuti editoriali da produrre per ogni canale di comunicazione digitale. Sito web e social innanzitutto. La quantità di materiali necessari costituisce perciò un volume di lavoro da considerare per alimentare la strategia.

Narrazione digitale d’impresa: quali lingue usare per comunicare con l’estero

Fai questa prova: apri Google Translate e dagli in pasto un testo in italiano; chiedigli di tradurlo in inglese, e poi ancora in italiano. Il risultato ti strapperà un sorriso, o una grassa risata, forse. Ma pensa che quell’effetto goffo è lo stesso che faresti sui social (o nel tuo sito internet) comunicando in una lingua che non ti appartiene.

Per curiosità, guarda com’è andata quando ho chiesto a Google di tradurre “L’infinito”, il capolavoro di Giacomo Leopardi…

Rapportarsi in modo ineccepibile nella lingua dell’interlocutore non è un vezzo: è un elemento di credibilità su cui imbastire un rapporto di fiducia. Mai sottovalutarlo.
Diffidare delle traduzioni fai da te, dei cugini che le lingue le imparano sui banchi di scuola, e le vicine di casa madrelingua che arrotondano con qualche traduzione.

Tempo fa l’amico Luca Lovisolo mi raccontò di un marchio italiano di abbigliamento che, all’estero, ad una fiera del settore, fu protagonista di un comico contrattempo. Sulle confezioni dei prodotti esposti nello stand compariva in bella mostra la parola “calze”, tradotta nella lingua del posto. Purtroppo uno sprovveduto traduttore non aveva usato il vocabolo che indica il capo d’abbigliamento, bensì quello relativo al genere di calza metallica usata per rivestire i tubi degli impianti di riscaldamento.
La circostanza generò l’ilarità di tanti visitatori locali. L’imbarazzo fu tale che la società non ebbe altra scelta se non abbandonare l’evento fieristico.

Episodi così rendono evidente la necessità di affidarsi a professionisti dotati del lessico tecnico appropriato.

L’impegno per gestire una strategia multilingue sui social è comunque tale per una piccola impresa che solo alcune riescono a sostenerlo come si dovrebbe. In genere preferiscono concentrarsi su poche lingue, le principali dei mercati di riferimento dell’azienda. Comprensibile, ma è un compromesso i cui effetti andrebbero soppesati caso per caso, tenendo conto delle effettive opportunità commerciali e alla luce della diffusione di ogni lingua.

Chiunque sia convinto che l’inglese sia un passe-partout universale, per esempio, si soffermi a ragionare sull’incidenza di altre lingue, come il cinese mandarino e l’hindi. O il francese e lo spagnolo tra quelle europee.

Sull’uso dell’inglese vi sono alcuni miti di sfatare, come spiega Luca Lovisolo: “Non è vero che fuori dall’Italia sia così conosciuto come si è soliti pensare. L’idea che molta parte della popolazione conosca l’inglese è vera in posti come l’Olanda, la Danimarca e gli altri paesi scandinavi.
In Germania e Svizzera, la diffusione dell’inglese è superiore rispetto all’Italia, ma è molto inferiore a quanto comunemente si creda. Difficile comunicare in inglese in Russia e nei territori dell’ex Unione sovietica.
In India si pensa che tutti parlino inglese, trattandosi di una ex colonia britannica, ma ciò è vero solo per una percentuale minima della popolazione, concentrata nelle grandi città e nelle fasce sociali più agiate. La grande maggioranza degli indiani parla una delle numerose lingue locali indiane.
Molto dipende anche dal tipo di prodotto offerto. In generale, se si vendono prodotti tecnici a un pubblico specializzato, normalmente business to business, l’inglese può funzionare un po’ ovunque; se invece si offrono prodotti rivolti al consumatore, è necessario comunicare nella sua lingua quotidiana.
Entrano in gioco questioni molto delicate se si toccano nazioni dove esistono conflitti etnico-linguistici: quale lingua scegliere, per comunicare in Ucraina? Ucraino o russo? In Belgio, francese o fiammingo? La scelta della lingua sbagliata può avere conseguenze pesanti sulla reputazione del venditore”.

Nel valutare gli aspetti legati alle lingue con cui relazionarsi, andrebbe considerata anche l’influenza dei valori propri dei destinatari. Mi spiego meglio: conosci il termine transcreation? Si tratta di un’attività a metà strada fra traduzione e copywriting pubblicitario: prevede una trasformazione del messaggio che consideri le differenze culturali, commerciali e i riferimenti sociali del paese di destinazione.
Te ne parlo perché, così come spiega Claudia Benetello, copywriter e traduttrice, un’azienda che opera su mercati internazionali “(…) si trova a dover soddisfare due esigenze contrastanti: mantenere il senso e il tono del messaggio originario nelle varie lingue, e al contempo comunicare in un modo che “funzioni” nel paese di destinazione”.
Come nel caso descritto da Claudia in questo articolo: Transcreation come creazione di un nuovo originale: il caso Norton™

Considerare la cultura e il mercato dei luoghi con cui si desidera interagire rende incisiva la strategia. Non solo. Mette al riparo da incomprensioni e grossolani errori di valutazione.

Storytelling aziendale: a quali media affidare il racconto d’impresa

Piazza e casa. Sono le due immagini a cui di solito mi affido per descrivere il ruolo di social media e sito web nella strategia di una piccola impresa. I primi sono il luogo affollato in cui intercettare il pubblico, come una piazza appunto, il secondo è quello in cui accoglierlo, come il salotto di casa.
Quando il pubblico di clienti potenziali è straniero, intercettare e accogliere richiede piena consapevolezza dei mezzi di comunicazione a cui affidarsi.

Predisporre un sito web adatto alle scelte strategiche ti pone di fronte a due alternative:

un sito multilingue in cui il visitatore possa passare da una versione all’altra con un clic sulla corrispondente voce nel menu di navigazione;
un sito per ogni paese o lingua, ognuno con un proprio indirizzo web (www…).

Salvo vi siano ragioni commerciali per una distinzione netta tra le informazioni del sito, la prima è in genere la soluzione raccomandata: la gestione è più pratica in quanto tutti i contenuti fanno riferimento ad un unico database.

La questione si fa più complicata sui social media: alcuni presentano funzioni per una gestione multilingua del canale più o meno avanzate, altre ne sono totalmente privi. Così come spiega Veronica Gentili a proposito di Facebook, ma il discorso vale anche per altri social: “Se la creazione di una Pagina Facebook per ciascuna nazione è la soluzione ottimale per chi vuole che ogni nazionalità venga gestita in completa autonomia ed ha un social media team dedicato per ognuna, non è di certo la soluzione indicata per una piccola impresa che esporta anche all’estero, ma non ha le risorse umane ed economiche per poter gestire e animare tante entità”.

In breve, quali sono le funzioni offerte dai principali social? Vediamole insieme.

Facebook
Ai grandi brand internazionali è riservata l’opzione Global Page che raggruppa la gestione di più Pagine Facebook localizzate per nazione. Per tutti gli altri utenti due sono le soluzioni che consentono la convivenza di più lingue in una sola Pagina:
Pubblicare post multilingua: lo stesso contenuto in più versioni, abilitando l’apposita funzione ed inserendo le traduzioni. Ogni utente vedrà la versione della propria lingua.
Configurare la privacy del singolo contenuto, circoscrivendo la visibilità di ogni post ai soli utenti di una specifica lingua o nazione.

Linkedin
Puoi gestire il profilo personale in più lingue: non una mera traduzione da una lingua all’altra, ma con contenuti (le voci della scheda biografica) totalmente autonomi.
Per i profili aziendali è prevista la personalizzazione (lingua per lingua) delle principali informazioni descrittive.
Per i post è possibile scegliere i destinatari per nazione, lingua ed altri criteri.

Instagram
Non offre opzioni per amministrare un account in più lingue. La scelta più diffusa è un solo account e una sola lingua. Spesso le aziende italiane optano per l’inglese, in modo da abbracciare il pubblico più ampio, anche in virtù della tipologia di contenuti che vengono condivisi attraverso la piattaforma: poiché Instagram è un social dedicato a fotografie e filmati, la componente visiva primeggia su quella testuale.
Qui, più che in altri social, risulta determinante fare un’accurata selezione degli hashtag, scegliendo i più adatti alle ricerche internazionali.
Va anche segnalata una funzione poco elegante ma utile per il destinatario: visualizza traduzione. È una voce che appare quando il testo che accompagna una foto o un filmato è in una lingua differente da quella di chi legge. Con un clic, l’utente genera una traduzione automatica, approssimativa ma sufficiente a fargli comprendere il senso delle parole. La stessa funzione è disponibile in Facebook, LinkedIn e TikTok.

YouTube
La più grande piattaforma di distribuzione di filmati prevede formule di partnership riservate ai soli grandi brand: solo ad essi è concesso amministrare varie lingue nello stesso canale.
Per tutti gli altri utenti ci sono due alternative: un canale per ogni lingua, oppure – la soluzione più diffusa – un solo canale in una sola lingua, sia per le informazioni istituzionali, sia per quelle relative al singolo filmato. Spesso la scelta ricade sull’inglese.
Va aggiunto che YouTube offre funzioni davvero efficaci per sottotitolare i filmati:
– trascrizione automatica del parlato della traccia audio
– editing del testo sottotitolo
– inserimento di sottotitoli in più lingue che il pubblico potrà selezionare a propria discrezione da un menu

Altri canali
Altro fattore da tenere conto per una comunicazione penetrante: Facebook, LinkedIn, Instagram e youTube non sono i numero uno ovunque. Secondo i dati diffusi da Vincos a gennaio 2020, si registrano luoghi della Terra dove lo scettro è in altre mani: nei territori russi VK – VKontakte e Odnoklassniki (entrambi del gruppo Mail.ru), e QZone in Cina sono i social network di riferimento. All’elenco dei canali per lo storytelling di una piccola impresa, aggiungerei inoltre i sistemi di messaggistica e le piattaforme di email marketing. Con essi la gestione verso più paesi parte dall’organizzazione del database di contatti. La comunicazione sarà quindi personalizzata per gruppi omogenei, per nazione o lingua.

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Conclusioni

Non esiste un criterio standard con cui valutare la miglior organizzazione di un piano editoriale per lo storytelling di una piccola impresa che lavora con paesi esteri. Le opportunità offerte da ogni ipotesi vanno rapportate all’impegno economico e al tempo necessario. Cosa sia meglio fare non posso dirlo io, ma una certezza c’è: più la strategia sarà tarata sulla singola nazione, più saliranno i costi di gestione e la forza competitiva sul mercato; più sarà uniforme, più si ridurrà l’efficacia.
Una volta chiarito il peso dei quattro fattori in campo (commerciali, linguistici, culturali e tecnologici), l’impresa potrà delegare la gestione della strategia di comunicazione oppure amministrarla internamente, con procedure e metodi adeguati.