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Fulvio Julita

Mi occupo di storytelling d’impresa applicato a strategie di marketing digitale. Aiuto le imprese a comunicare meglio, valorizzare la loro identità e vendere. Ho scritto "Raccontarsi online - Dal freelance alle piccole e medie imprese: storytelling per il marketing digitale" (Hoepli editore).

SEO: perché chi fa storytelling dovrebbe preoccuparsene

Il termine SEO – acronimo di Search Engine Optimization, ottimizzazione per i motori di ricerca – indica un insieme di tecniche e strategie per migliorare il posizionamento delle pagine di un sito web sui motori di ricerca, ed essere perciò più visibili.

La SEO è materia per esperti, i cosiddetti SEO specialist, ma comprenderne i fondamenti può essere utile a chiunque abbia una strategia di digital storytelling per promuovere la propria impresa. È una disciplina resa complessa dai continui cambiamenti e dalla necessità di saper interpretare i dati ricavati attraverso vari strumenti. D’altronde il motore di Google non ha un libretto delle istruzioni come quello delle automobili: servono intuito ed esperienza per guidare le pagine del proprio sito nelle prime posizioni della SERP in coincidenza di una precisa query.

SERP e query, cosa significano?
SERP è il termine tecnico che indica l’elenco ordinato di risultati restituito dal motore di ricerca, 

mentre query (o chiave di ricerca) è la parola o la combinazione di parole che l’utente utilizza per descrivere l’obiettivo della ricerca nella finestrella di Google.

 

Esistono altri motori di ricerca, ma il 95% delle ricerche sul web in Italia passano da Google. I concorrenti in pratica si spartiscono le briciole. Ti sarà perciò chiaro che fare buona SEO pensando alle logiche di Google significhi agire sulla quasi totalità delle ricerche online.

Un altro dato che devi conoscere per comprendere quanto agguerrita sia la competizione sulle query: i risultati che appaiono nella prima pagina di Google assorbono il 95,8% dei clic. Quelli di seconda e terza si spartiscono una quota esigua. Dalla quarta pagina in poi è come non esserci. Se ne evince che…

… la guerra sulle parole chiave ha come traguardo la prima pagina di Google.

LEGGI O ASCOLTA. Questo articolo è disponibile anche in EROI | Un podcast che parla di storytelling e imprese da raccontare.

 

SEO e storytelling: idee per raccontarsi nel blog e farsi trovare con Google

In apparenza SEO e digital storytelling – la materia di cui io e i miei colleghi ci occupiamo – sono due mondi distanti, benché convivano nello stesso spazio, il web: l’una ingessata nei paradigmi dell’analisi dei flussi di ricerca, l’altro regolato da tecniche basate sul descrivere concatenazioni di episodi, concetti, circostanze, emozioni.
Così io stesso ho pensato a lungo, confidando nella sola forza propulsiva del materiale narrativo di cui disponevo quale mezzo per raggiungere gli obiettivi di marketing che mi ero dato.

Leggi anche: Storytelling e marketing: perché le storie delle piccole imprese piacciono e fanno vendere

Ho poi compreso che esistono almeno due ragioni per prestare attenzione alla SEO, una evidente, la seconda meno. E ciò mi ha portato ad approfondire la materia e ottenere risultati più soddisfacenti.
La prima ragione è la visibilità: tessere una narrazione, sul proprio blog o sito web, basata su contenuti pensati anche secondo logiche SEO, aumenta la possibilità di essere intercettati.
La seconda riguarda la qualità dei contenuti stessi.

Usare metodi e strumenti da SEO expert disciplina ad una scrittura più concreta, nella forma e nella sostanza. Nella scelta delle parole, degli argomenti e dei concetti da esprimere.

Con AnswerThePubblic, ho imparato a verificare, per ogni argomento da introdurre nella narrazione, quali siano le domande che le persone rivolgono ai motori di ricerca e con quali parole descrivano l’oggetto di interesse. Trovo così spunti preziosi per creare contenuti in linea con le reali necessità e usando i vocaboli più opportuni.

answer the public esempio

Nel libro Raccontarsi online (Hoepli editore) faccio l’esempio delle parole scuola materna e scuola dell’infanzia che, in epoche successive, hanno sostituito nel linguaggio istituzionale la definizione di asilo infantile.
Ma qual è, tra i due, il termine più usato dalle persone?

analisi seo esempio

Me lo dice Google Trends, un tool gratuito con cui posso individuare argomenti di tendenza e mettere a confronto la frequenza di utilizzo di parole dal medesimo significato, così da adeguarmi al lessico più abituale. Oppure fare il contrario.
Nel confronto tra le due query, lo strumento evidenzia una netta supremazia di scuola materna.

Esistono altre piattaforme ancora – io e i miei colleghi usiamo SEO Zoom – con cui ricavare importanti informazioni sui volumi delle ricerche eseguite con ogni query, la correlazione tra argomenti, l’entità della concorrenza per ogni chiave di ricerca. Si tratta di altri dati preziosi per l’elaborazione dei contenuti.

 

SEO per lo storytelling: stabilire le intenzioni della narrazione

Se c’è una peculiarità che ha fatto di Google il motore di ricerca più usato è la capacità di interpretare le intenzioni delle persone. Ogni valutazione che l’algoritmo fa sui contenuti che trova in Rete è basata sulla volontà di restituire all’utente che esegue una ricerca un’esperienza all’altezza delle aspettative: risposte chiare a intenzioni precise.
Un principio cardine è la catalogazione per categorie dei contenuti presenti in Rete (Google li chiama micro-momenti):

  • Voglio sapere
  • Voglio fare
  • Voglio andare
  • Voglio comprare

 

Nel catalogare un contenuto, l’algoritmo di Google si chiede quale soddisfi tra le quattro intenzioni di ricerca: il desiderio di informarsi, recarsi in un luogo, compiere un’azione oppure acquistare?

micro moments google - seo e storytelling

© thinkwithgoogle.com

 

Pensare come pensa l’algoritmo di Google spinge verso una scrittura più pragmatica: averlo compreso mi è utile anche quando racconto.

Oggi, nel creare un contenuto per il piano editoriale di un progetto di storytelling, mi preoccupo che sia ben esplicitata l’intenzione che verrà appagata quando il destinatario della comunicazione lo incontrerà in Rete.
Mi spiego meglio.
Più volte – se hai letto altri articoli del blog forse lo sai – mi è capitato di menzionare un principio espresso dall’amica Alessandra Perotti, editor e writer coach: “Non esistono storie banali, ma modi banali per raccontarle”

Evitare la narrazione banale consiste nel chiedersi:

– Quale insegnamento è presente nella storia che vorrei raccontare?
– A quale domanda, bisogno, desiderio dell’interlocutore risponde?
– Qual è la forma più opportuna per rendere evidente il valore contenuto?

 

In altre parole mi preoccupo dell’intenzione che porterà un possibile interlocutore – in genere è un potenziale cliente, nel caso della narrazione d’impresa – sulla pagina di Google, a digitare termini con cui esprimere il proprio bisogno, ad incontrare un mio contenuto nella SERP, a cliccare ed approdare nel blog in cui scrivo.

La SEO mi aiuta a trasmettere un’evidente chiave di lettura del contenuto ogniqualvolta incontri l’algoritmo o incroci lo sguardo del lettore.

 

seo storytelling Photo by Rajeshwar Bachu on Unsplash

SEO e storytelling, un esempio di convivenza

Questo articolo.
Questo stesso articolo per il quale hai sacrificato diversi minuti del tuo tempo in lettura è un esempio della convivenza di storytelling e SEO in un medesimo contenuto.


Lo storytelling. C’è la descrizione della mia esperienza personale, di come io sia approdato alla SEO provenendo da altre discipline e di quanto il mio lavoro ne sia uscito trasformato. È una micro-narrazione, si incastra in una più ampia strategia di digital storytelling personale, è finalizzata alla percezione della mia identità nella mente degli interlocutori per scopi professionali.

Leggi anche: Digital marketing: come funziona (spiegato facile)

La SEO. I principi della SEO si evincono da alcuni dettagli, come l’organizzazione in paragrafi, la scelta delle parole (per il titolo dell’articolo e i titoli di paragrafo, ad esempio) e l’inserimento di alcuni incisi non previsti nella stesura originale (il significato di SERP e query, ad esempio) mirati all’indicizzazione, a fissarsi cioè nella memoria di Google. Tutti elementi che determinano un ulteriore benefico, non secondario: la fruibilità della pagina.
Ma è soprattutto lo spirito che permea il testo ad essere dettato da logiche SEO: la volontà di indirizzare l’articolo verso la categoria Sapere, cioè corrispondere al desiderio di un ipotetico lettore di informarsi sulla relazione tra SEO e storytelling.

Nel blog è presente un articolo per la categoria Voglio fare, con suggerimenti pratici legati di scrittura e SEO. Si intitola Guida SEO: nozioni base per lo storytelling d’impresa.

 

Seo e storytelling, in conclusione

Tanta letteratura ci ha abituati a pensare al narratore come ad un’entità romantica, astratta, fuori dal mondo. Chi narra invece e ben altro, è qualcuno che dispone di materia condivisibile – le storie – ben connessa con le vicende del mondo.
Preoccuparsi del valore universale di esperienze e conoscenza, dar loro forme accessibili, sono i passaggi attraverso cui egli infonde qualità alla narrazione.
Si tratta di un principio tanto più fondamentale se il racconto persegue legittime finalità d’impresa: guadagnare visibilità, stabilire rapporti di fiducia, creare condizioni per vendere.
Ecco perché suggerisco di avvicinarsi alla SEO a chiunque narri e crei contenuti per far conoscere il proprio lavoro in Rete: ragionare come Google educa, nel raccontarci online, a pensare al lettore (cliente o potenziale cliente) e valorizzare così l’esperienza d’acquisto che offriamo.

 

Posso esserti utile?

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