Storytelling marketing: perché le storie delle piccole imprese piacciono e fanno vendere
Come può il produttore guadagnare di più dalla differenza tra il prezzo di vendita e quello di produzione?
È una domanda legittima che accompagna qualunque imprenditore, poiché il profitto è il legittimo obiettivo di qualunque impresa che voglia prosperare, generare benessere e posti di lavoro.
A rispondere è la matematica: più alto sarà il prezzo di vendita, più alto sarà il profitto dell’impresa.
C’è anche la possibilità di diminuire i costi di produzione, ma è una scelta dalle implicazioni spesso delicate.
Vien da chiedersi allora fino a quale limite massimo può arrivare il prezzo di vendita.
Il limite del prezzo lo impone il mercato, dipende da quanto i clienti siano disposti a spendere per quel prodotto. Assegnare un prezzo più alto del valore attribuito dal cliente equivarrebbe a non riuscire a vendere.
Spesso il valore percepito è condizionato dal confronto con prodotti simili, dalla scarsa notorietà del produttore, dall’ignorare le qualità del prodotto e di chi lo produce. Questo è il terreno su cui lo storytelling fa la differenza. Con una narrazione costante, coerente, coinvolgente, viene percepito un valore reale, non sminuito dal paragone con altri.
Il cliente è disposto a spendere di più per qualcosa a cui attribuisce qualità che non trova altrove.
Puoi vedere la questione da una seconda prospettiva: ti trovi al supermercato, sullo scaffale di fronte a te ci sono due detersivi per i piatti, identici sono il prezzo e il quantitativo. Il primo è di una marca di cui ti hanno parlato, il secondo non l’hai mai sentito. Quale scegli?
Non ho dubbi: a parità di prezzo, sceglierai il prodotto di cui ti fidi di più, quello che hai già sentito nominare.
Le storie trasmettono fiducia
Le storie agiscono su fattori che ispirano fiducia perché sono la promessa di un’esperienza credibile fatta con il racconto di esperienze reali. Dalle storie emergono il gusto, la personalità, l’unicità del prodotto, del marchio o del professionista. È quella componente intangibile, fatta di percezioni e sensazioni, che viene chiamato brand.
Nel mondo del lusso è più evidente quanto sia persuasiva la forza del brand. La signora che acquista una borsa di una marca di moda, prodotta bene e con materiali di qualità, è consapevole che la funzione dell’oggetto è lo stesso di una borsa, pur simile, ma da pochi soldi: entrambe assolvono il compito di contenere i tanti oggetti che una donna porta spesso con sé.
La differenza tra i due prodotti è l’appagamento emotivo del possesso che il primo oggetto esercita, un segnale alla volta, attraverso il passaparola a cui lo storytelling contribuisce.
Si tratta di una sicurezza in più di cui tutti, in forme diverse, possiamo sentire il bisogno.
Il fenomeno riguarda anche le piccole realtà a carattere locale. Vivo in una piccola cittadina della provincia novarese e vi posso assicurare quanto per molti sia importante poter dire “Io mi vesto solo da XYZ“. Come puoi immaginare, XYZ è il nome di uno storico negozio del centro, per nulla accessibile a tutte le tasche.
Puoi giudicarla sciocca ostentazione, ma abbiamo tutti i nostri brand di fiducia, che siano della moda, della calzatura o di produttori di trapani elettrici.
Le storie fissano il brand nella mente dei consumatori
L’effetto di un brand la cui identità sia ben presente nella testa dei clienti si chiama posizionamento, concetto di marketing che esprime la posizione che ogni marchio occupa nella mente del potenziale acquirente rispetto ai concorrenti. Un esempio calzante è quello del mercato automobilistico, dove le differenze sono chiare, non solo tra produttori in nicchie diverse ma anche all’interno di medesime nicchie di mercato.
Le storie portano dall’anonimato al posizionamento
La comunicazione veicolata attraverso una costante narrazione è un percorso a lungo termine che spinge la percezione di un marchio o un prodotto verso traguardi via via più elevati:
- Un marchio che non comunica è anonimo agli occhi del cliente, un nome tra tanti.
- La comunicazione conferisce dapprima visibilità, trainandolo fuori dall’anonimato fino a renderlo qualcosa di familiare.
- Arriva la fiducia quando segnali chiari e coerenti, veicolati dallo storytelling e spesso dal dialogo, portano il cliente a percepire la personalità del marchio, a sentirsi rassicurato dalle sensazioni ancor prima di aver acquistato, ed eventualmente a scegliere con la consapevolezza del valore che troverà. Se l’acquisto non delude le aspettative, la fiducia sale e con esso il legame con il brand.
- Il posizionamento arriva al gradino più alto. Ha la forma di una reputazione sociale solida e inequivocabile che precede il marchio. È il risultato di una gestione coerente ben raccontata dei processi di produzione e vendita.
Una reputazione solida dura a lungo. È un’idea ferma che il consumatore difficilmente ridiscute, perché l’essere umano è per natura votato al minimo spreco di energie fisiche e mentali: cambiare idea, lo costringerebbe a nuovi confronti, abitudini, se non addirittura ad ammettere un errore di valutazione.
Le storie non costano
Le storie sono un fattore naturale a costo zero nel patrimonio delle piccole imprese, nascono dalle situazioni, dalle coincidenze, dagli episodi. Non dalla scelta di raccontare, perché gli episodi nella vita capitano e basta.
Costa poco raccontarle, basta capire i principi fondamentali, ma l’abitudine a utilizzare le storie è già nella natura di chi vende. Lo fa istintivamente il commerciante al banco del mercato, l’architetto nell’illustrare un progetto, la parrucchiera nel proporre un nuovo taglio. Lo fanno da sempre, per farsi capire, per stabilire un rapporto, per avviare una trattativa.
Fare storytelling aziendale sul web, significa portare un’attitudine, già sviluppata altrove, in una piazza – quella dei social – gremita di potenziali clienti. Non si parte da zero.
La flessibilità del racconto è tale da adeguarsi al mezzo. Non esiste un solo modo per raccontare una storia: lo si può fare con la parola scritta, con fotografie, disegni, filmati, audio. Senza contare che esistono metodi di scrittura con cui trovare modi e prospettive alternativi, come ben sanno gli amici del Club Raccontare le Imprese.
Ciò che sia meglio lo stabilisce, di volta in volta, il contesto, l’oggetto della storia, la propria predisposizione ad una forma piuttosto che all’altra e il canale con cui si sceglie di diffondere il messaggio: un filmato su YouTube, un testo per un blog, una foto per Instagram ad esempio.
Va detto anche che, ovunque ci muoviamo, il nostro smartphone è con noi. Abbiamo tutte le app che servono per raccontare un fatto in tempo reale o un’idea che si è affacciata all’improvviso tra i nostri pensieri: scrivere, fotografare, filmare, postprodurre e pubblicare. Lo diamo per scontato ma fino a pochi anni fa non era così.
Le storie accorciano le distanze
C’è un fenomeno che io chiamo Sindrome da semaforo verde. Ne parlo nel filmato qua sotto: spiega quanto il grado di relazione tra le persone influisca sui comportamenti e come la narrazione rafforzi il rapporto empatico tra chi racconta e il destinatario della narrazione. Nella narrazione d’impresa, l’effetto delle storie agisce sulla relazione tra venditore e cliente.
Le storie sono un ponte di emozioni che unisce chi racconta e il destinatario della narrazione, venditore e cliente.
Come spiego nel libro RACCONTARSI ONLINE (editore Hoepli), te ne accorgi quando, da consumatore, prendi delle decisioni: quale idraulico chiamare per un problema alla caldaia, in quale bar fermarti per un caffè prima di andare al lavoro, dove acquistare un nuovo paio di scarpe per il matrimonio di un cugino. A pesare sulle tue scelte, tra i fornitori che conosci o di cui hai sentito parlare, ci sono tanti elementi soggettivi come la simpatia, l’identificazione nei valori, nello stile, la fiducia che riponi, la percezione di serietà. Sono sensazioni, nascono dentro di te e sovente non sono avvalorate da dati razionali. Quelle persone, quelle imprese sono brand ai tuoi occhi.
Ogni azienda ha clienti fidelizzati. Nel mondo delle piccole e medie imprese spesso le relazioni solide partono da una concomitanza di circostanze che portano i clienti prima a mettere alla prova il servizio/prodotto, quindi a rimanerne soddisfatti e infine a scegliere di non cercare altrove.
Una strategia di storytelling aziendale accelera i tempi, allarga la visibilità verso un pubblico affine, la reputazione anticipa l’esperienza necessaria al cliente per prendere consapevolezza dei valori e rendere ognuna di quelle aziende e quei professionisti più facili da distinguere tra altri.
Risultato non da poco, perché se il cliente non percepisce la differenza, userà un solo criterio per scegliere: il prezzo. E sceglierà il più basso.
Le storie informano, semplificano e non infastidiscono
Lo storytelling online arriva dove la pubblicità non può arrivare: comunica con discrezione. Non interrompe il destinatario dell’informazione, non lo costringe a distogliere lo sguardo da ciò che sta facendo. Non è fatto di banner chiassosi, finestre pop-up che intralciano la vista, messaggi indesiderati che si sovrappongono tra lui e ciò che vuole vedere.
No, le storie non disturbano. Le incontri sulla bacheca di un social network o tra i risultati di Google. Se vuoi le scansi, altrimenti le lasci fare, permetti che ti emozionino, t’informino e sbroglino i concetti più complicati, rendendoli semplici. Sono un brezza calda da cui è piacevole farsi avvolgere. Per questo piacciono. E fanno vendere.
C’è una case study che portiamo spesso come esempio, il progetto di storytelling per un albergo per famiglie nato ai piedi del Monte Rosa. Si chiama Mirtillo Rosso e ha una caratteristica che lo rende differente: è l’unico posto al mondo dove Natale arriva un volta al mese. Ne parlo anche nel libro Raccontare le imprese dove spiego l’importante contributo dello storytelling su Facebook alla vendita del 70% di camere in più (estate 2017 rispetto all’anno precedente).
Questo articolo è un estratto del Videocorso Storytelling | Metodi per professionisti e piccole imprese.