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Fulvio Julita

Mi occupo di storytelling d’impresa applicato a strategie di marketing digitale. Aiuto le imprese a comunicare meglio, valorizzare la loro identità e vendere. Ho scritto "Raccontarsi online - Dal freelance alle piccole e medie imprese: storytelling per il marketing digitale" (Hoepli editore).

Storytelling per freelance: spunti di marketing dal podcast di Barbara Reverberi

Può capitare che sia un libro a scegliere il lettore? Pare di sì, stando alle parole di Barbara Reverberi scritte su Facebook: “Lo avevo nella lista dei desideri di Amazon. Ne ho sentito parlare bene da Alessandra Perotti. L’ho ascoltato a Scrivere è vivere. Ed eccolo qui. Letto! Vi racconterò perché è prezioso e perché aspetto il seguito”.

Barbara è giornalista e fondatrice di Freelance Network e nel suo post si riferiva a Raccontare le imprese. Ci siamo scambiati alcuni messaggi via internet e mi ha invitato nella sua casa digitale, il podcast News for Freelance. Dalla chiacchierata sono nati alcuni spunti di riflessioni spero utili per il marketing e lo storytelling di qualche giovane libero professionista. Qui di seguito trovi la trascrizione dell’intervista, le domande di Barbara e le mie risposte.

[Barbara] Nel libro racconti di alcuni vostri clienti, parli delle rispettive strategie di marketing e dell’autenticità che emerge nella loro comunicazione online. Come ci siete riusciti e come avete interagito con loro?

[Fulvio] Raccontare le imprese parla di tre imprenditori e dei progetti di comunicazione elaborati assieme a loro. Credo che la chiave di lettura del rapporto instaurato con queste tre persone sia già nel sottotitolo del libro: storie di gente intraprendente che cavalca internet controcorrente.
Gianmarco, Stefano e Luca sono per natura persone che amano cercare percorsi lontani dai luoghi comuni. Con loro è stato naturale spingersi più in là, osare, cercare strade non percorse dai loro concorrenti.

Non tutti i clienti e non tutti gli imprenditori sono uguali. Molti clienti appartengono alla categoria del “Nel mio settore è diverso”.

Credo che i tuoi ascoltatori lo sappiano. Sono quei clienti che, quando tu proponi qualcosa di nuovo, si chiudono a riccio nelle loro abitudini, nelle cose già fatte da altri. Perché uscire dagli schemi li inquieta. Sono quelli che vivono quest’era tecnologica con apprensione, pregiudizio.
Intendiamoci, vanno rispettati. Spesso sono imprenditori di altre generazioni, gente che negli anni ha prodotto risultati e dato lavoro a tante famiglie. Semplicemente si sono ritrovati catapultati in un mondo che non riconoscono più. E faticano ad accettarlo.

I tre protagonisti del libro sono persone di altra natura. Il ruolo mio e dei miei colleghi nel rapporto con loro è stato quello di prenderli per mano e accompagnarli, fornire loro gli strumenti tecnologici e narrativi per dare voce alle loro storie, al loro know-how, ai loro modi squisitamente unici di essere impresa.

Prendi la storia di Gianmarco, la prima raccontata nel libro. Lui e i suoi fratelli sono titolari di una piccola azienda che produce tende da sole e zanzariere. Lavoro con loro da oltre dieci anni. Da sempre abbiamo cercato modi e strategie per far sentire la personalità di un marchio diverso – il loro – in un mondo in cui la comunicazione dei concorrenti è omologata, spesso anonima o prodotto-centrica.
Pensa, tempo fa lanciammo “Zzzerial killer”, un libro che, con ironia, strizzava l’occhio a Sun Tzu e l’arte della guerra”. Lo zzzerial killer era descritto tra le pagine come il terrore delle zanzare, un umano consapevole delle tecniche e delle armi per combattere quell’insetto fastidioso. Insomma, un modo divertente e diverso per parlare di zanzariere.

 

 

Questo per dirti che il progetto “Zzzerial Killer”, così come quello descritto in “Raccontare le imprese”, un altro cliente probabilmente l’avrebbe scartato.

Con alcuni clienti nascono rapporti speciali per questioni di affinità.

Lo dico ai tuoi ascoltatori, i freelance: non dobbiamo pensare che il nostro modo di essere professionisti vada bene a tutto il mercato. Dobbiamo cercare i clienti che vanno bene a noi, quelli più affini al nostro stile, alle nostre competenze.
D’altronde un freelance non è una multinazionale, non ha bisogno di migliaia di clienti. In genere ne bastano poche decine per arrivare a saturare la capacità produttiva.

 

[Barbara] Cosa sono le leve dell’attenzione di cui parli nel libro?

[Fulvio] Ho elaborato la teoria delle leve dell’attenzione osservando i comportamenti delle persone. Ognuno di noi è esposto ogni giorno a informazioni e notizie. In frazioni di secondo facciamo delle scelte: decidiamo a cosa prestare attenzione e a cosa no. Lo facciamo sfogliando un giornale, scorrendo la timeline di Facebook, osservando i risultati di ricerca nella finestra di Google.

Qual è il criterio secondo cui prendiamo decisioni?
È la gratificazione, il vantaggio.

Scegliamo di prestare attenzione a un contenuto quando la forma ci suggerisce che la sostanza sarà appagante. Troveremo cioè la soluzione ad un nostro problema, vedremo soddisfatto un nostro interesse, vivremo un’esperienza emozionante. In altre parole scegliamo di dedicare del tempo di lettura, ascolto o visione a contenuti che agiscono sulle leve dei bisogni, degli interessi e delle passioni.
Spiego questa dinamica nei corsi di formazione, quelli dedicati allo storytelling d’impresa e alla gestione di piani editoriali per il marketing aziendale: quando scrivi un post per il tuo blog, ad esempio, devi pensare al tuo lettore, avere in mente di quale vantaggio le tue parole saranno il veicolo.

“Perché dovrebbe interessarmi?” è la domanda presente nella testa di qualsiasi nostro interlocutore, chiunque egli sia, qualunque cosa vogliamo dirgli e qualunque sia il prodotto che vogliamo proporgli. Le persone non comprano prodotti o servizi. Comprano il beneficio, il cambiamento che quei prodotti o servizi portano nelle loro vite.

Faccio spesso l’esempio del produttore di chiodi: nella sua mente c’è un prodotto di cui va orgoglioso, il chiodo, con una forma, un materiale, un processo produttivo pensati per garantirne l’efficienza nel penetrare una superficie e reggere il peso a cui è sottoposto.
La visione del suo cliente è diversa.
Entrerà in una ferramenta ad acquistare un chiodo perché immagina un quadro appeso ad una parete del salotto, alla piacevolezza di quell’ambiente migliorato dalla presenza di quel quadro retto da un chiodo.
La buona comunicazione è quella che parla di quadri appesi alle pareti, non di chiodi. Quella che agisce appunto sulle leve dell’attenzione.

 


[Barbara] Quando descrivi il progetto di comunicazione per l’hotel Mirtillo Rosso, non ti limiti a illustrare la strategia ma dichiari anche i risultati conseguiti, di traffico e di vendita. Quale ruolo ha avuto la comunicazione nel trasmettere il valore dell’esperienza offerta ai clienti dell’albergo?

[Fulvio] Mirtillo Rosso è un family hotel nato nel 2015 ai piedi del Monte Rosa, sul versante piemontese. Quando Stefano Cerutti, il direttore dell’albergo, riunì attorno ad un tavolo me e i miei colleghi – era l’estate del 2014 ed eravamo ad Alagna, in una baita di montagna – ragionammo a lungo sull’esperienza che quell’albergo avrebbe offerto ai clienti. Fu lui a immaginare il Mirtillo come un posto diverso, l’unico posto al mondo dov’è sempre Natale.
Un’idea affascinante quella di far vivere alle famiglie – e ai bambini in particolare – il calore, l’allegria, la gioia del Natale ogni giorno dell’anno. Andava però comunicata al pubblico giusto.

Ci siamo riusciti andando oltre le aspettative: nei primi due anni l’albergo ha raggiunto i risultati di fatturato che il business plan prevedeva in cinque. Il merito va innanzitutto ad un’esperienza di soggiorno emozionante e ineccepibile. Ma tanto ha fatto, e continua a fare, la comunicazione, lo storytelling veicolato attraverso i social.

Il racconto quotidiano è il profumo buono che anticipa la vacanza.

Le foto di Lorenzo Lucca ed Elisa Piemontesi, i miei colleghi, affidate a Facebook e Instagram, sono messaggi intriganti che arrivano sotto agli occhi del pubblico, quello giusto perché raggiunto grazie a un algoritmo, quello del social, che conosce preferenze e stili di vita delle persone: genitori con bambini nella fascia di età 0-11 anni, amanti della montagna e del Natale.

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Chi prenota una vacanza al Mirtillo non cerca un posto qualunque dove soggiornare in Valsesia. Ha una piena consapevolezza di ciò che incontrerà. Vuole vivere quell’esperienza del Natale a luglio o ad agosto che solo lì può trovare. A dimostrarlo è l’alta percentuale di prenotazioni dirette, che cioè non passano attraverso i portali di intermediazione, come Booking.com ad esempio, quei siti dove le strutture ricettive vengono confrontate tra loro secondo criteri comuni.
Il Mirtillo Rosso sfugge a quel confronto, perché è unico. E l’unicità è ben raccontata sui social.

È una storia d’impresa che ci insegna quanto sia importante, in qualunque settore, trovare il modo per differenziarsi. Se Stefano Cerutti avesse ragionato come tanti altri albergatori, quelli del “Nel mio settore è diverso, nessuno ha mai fatto un albergo dov’è sempre Natale”, il Mirtillo Rosso sarebbe stato un albergo come tanti altri. E chissà se ne avremmo raccontato il successo.

 


[Barbara] Parli di Luca Lovisolo come buon esempio di personal branding. Chi è e come hai contribuito a far emergere la sua personalità sul web?

[Fulvio] Luca Lovisolo è un ricercatore in diritto e relazioni internazionali. È una figura professionale, la sua, che in genere troviamo negli ambienti accademici – al soldo dell’università – o nelle redazioni dei migliori giornali, alle dipendenze di un editore. Luca ha scelto invece l’indipendenza, con tutti i pro e i contro. Da una parte c’è la libertà totale di esprimere il proprio pensiero, dall’altra la necessità di vivere del proprio lavoro, auto-promuovendosi come qualunque freelance.

L’analisi che Luca offre della vita politica dei Paesi del mondo, la chiarezza espositiva, la capacità di connettere singoli episodi e fornirne una chiave di lettura porta ad una visione spesso sconvolgente, lontana anni luce da quanto troviamo sulle testate più blasonate. Tanto è vero che di sé dice “Posso scrivere certe cose perché non dipendo da nessuno”. 

Dovreste leggere il suo racconto del viaggio a Chernobyl ad esempio, la situazione che ha trovato a trent’anni dal disastro. Oppure l’analisi dei fatti legati alla Brexit, le ingerenze russe nelle questioni europee, il caso migranti visto con gli occhi dell’esperto in diritto internazionale.
Attraverso i suoi canali di comunicazione – il blog, la newsletter, i social – Luca diffonde valore, crea relazioni, coltiva una community di persone interessate e porta profitto alla sua attività con la vendita di libri e corsi.

È un esempio di personal branding ben fatto. il personal branding è una filosofia di marketing, il pensare a sé stessi come a un prodotto da vendere.
Io l’ho aiutato su due fronti. Da una parte a mettere a fuoco e narrare di conseguenza l’unicità della sua figura, come uomo e come professionista. Dall’altra a migliorare la fruibilità dell’informazione lavorando sulle componenti del testo, i flussi delle informazioni, i percorsi attraverso le pagine del sito.

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[Barbara] Nella prefazione, Alessandra Perotti (editor e writer coach) menziona i tuoi metodi e la Luigina che saranno i protagonisti di un prossimo libro. Vuoi anticiparci qualcosa sull’argomento?

[Fulvio] Volentieri. Chi sia la Luigina è presto detto: è una gallina.
L’ho scelta quale simbolo di buona comunicazione d’impresa. Come ogni imprenditore, anche la Luigina ha un prodotto da far conoscere. È l’uovo. Dopo averlo deposto, lei canta per farlo sapere a tutti. Quell’azione ci insegna una grande verità: un buon prodotto non assicura il successo di un’impresa. Va valorizzato, cantando.

La Luigina è una storyteller, canta e racconta uno spicchio della propria storia, così come dovrebbe fare chiunque abbia qualcosa da vendere.

Nelle aule di formazione sono nati quelli che chiamo i metodi della Luigina. Quando parlo di metodi, intendiamoci, non mi riferisco a chissà quale formula segreta per fare soldi facili. Si tratta di tecniche educative, hanno lo scopo di fornire il mindset corretto con cui affrontare la narrazione e rapportarsi con il pubblico di riferimento, i potenziali clienti.

C’è il metodo dei Cinque Vasi che aiuta a scrivere testi che partano dalla prospettiva del lettore.
Poi c’è il metodo SIEPE, acronimo di soluzioni, ispirazioni, emozioni, persone ed eventi. Io lo paragono a un coltellino svizzero, multifunzione: è utile per organizzare il piano editoriale, trovare spunti e idee per i contenuti, allenarsi alla narrazione aziendale. C’è anche una web app, che si chiama Plume Shake, con cui dare forma a storie d’impresa.

Quello delle piccole imprese e dei professionisti – i freelance ad esempio, come sono i tuoi ascoltatori – è un mondo di storie straordinarie: raccontarle significa diffondere consapevolezza. Non c’è un’impresa o un professionista uguale all’altro, ognuno di noi è la somma di esperienze e valori differenti. I metodi che utilizzo hanno lo scopo di stimolare l’uso strategico della narrazione per valorizzare l’unicità.
A tal proposito, se me lo consenti, vorrei invitare i tuoi ascoltatori a scoprire il Club Raccontare le Imprese. È un’iniziativa gratuita, aperta a tutti, nata allo scopo di diffondere cultura della narrazione e dei metodi. Sono convinto che per molti freelance sarà una piacevole sorpresa.

 

Ascolta “#78_La_cultura_della_narrazione_Fulvio_Julita” su Spreaker.

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