Raccontarsi online e convivere con il giudizio degli altri
© Foto di Lorenzo Lucca ed Elisa Piemontesi
Il pretesto per trattare questo argomento mi è stato offerto da un webinar tenuto per un gruppo di ristoratori. L’argomento era il raccontarsi online, sui social, il mostrare il proprio volto, il dietro le quinte del proprio lavoro, il cercare di stabilire un rapporto meno istituzionale e patinato di quello a cui la pubblicità ci ha abituati. È quel modo di comunicare, d’altronde, informale, confidenziale e strategico in cui io e i miei colleghi crediamo e che portiamo nei nostri progetti (se hai letto altri articoli del blog, probabilmente già lo sai).
Ecco, in quel contesto, durante quell’incontro online uno spettatore sollevava la questione.
Come si convive con quella sensazione di disagio che prima o poi coglie chiunque faccia storytelling di sé stesso?
Causa del disagio è il giudizio di chi incrocia sui social la nostra narrazione, i filmati in cui parliamo di noi, del nostro lavoro, di come risolviamo problemi ai clienti, le nostre verità, opinioni, esperienze rese pubbliche.
Tu racconti e dentro senti quella vocina che ti dice “Ma chi ti credi di essere?”.
LEGGI O ASCOLTA – Questo articolo è tratto da EROI | Un podcast che parla di storytelling e imprese da raccontare.
Raccontarsi online: portare in scena la propria storia d’impresa
Portare in scena. Prendo in prestito un’espressione del teatro perché trovo l’immagine davvero appropriata: ci sei tu sul palco, ci sono le tue storie e c’è un pubblico che riesci appena a scorgere perché c’è buio in sala e un faro ti impedisce di cogliere le reazioni di quelle persone che vorresti conquistare.
Ecco l’immagine che ho di chi fa storytelling di sé stesso e della propria impresa sul web: un professionista nudo al centro della scena, esposto al giudizio degli altri. Lì a chiedersi se stia facendo bene o male, se sia legittimo, se addirittura non si stia rendendo ridicolo con quella scelta di aprire a tutti la porta del proprio mondo. C’è quella paura lì con lui su quel palco.
Forse non la sai, ma quel timore ne frega tanti.
È più rassicurante allontanare da sé l’idea del raccontarsi, nascondersi dietro ad un comunicare, stereotipato, fatto di parole vuote – Siamo un’azienda leader del settore… – e di immagini già usate da altri.
Ecco, è più facile il comunicare replicando ciò che abbiamo già visto fare da altri. O addirittura il non comunicare.
Comunicavano forse i nostri nonni quando hanno fondato le loro attività, quando hanno aperto i negozi dove ancora oggi andiamo a fare acquisti?
E come potevano farlo? Non c’erano internet, le mail, i social media, i WhatsApp. Non c’era niente di tutto questo, eppure lavoravano.
In realtà comunicavano. Anzi, si raccontavano.
In modo diverso, ma il venditore ha sempre usato il narrarsi, l’aprire il libro del proprio sapere, attingervi per spiegarsi a quel cliente entrato nella sua bottega, per fargli capire che si poteva fidare.
Era anche un mondo diverso dove la richiesta superava l’offerta. Spesso bastava alzare la saracinesca e far entrare i clienti che in fila aspettavano fuori. Non per tutti è stato così, è chiaro.
Si faceva comunque fatica a gestire un’impresa e c’era uno spirito di sacrificio che tanti della nostra generazione non conoscono. Ma le incombenze erano altre, il comunicare bene era secondario.
Non c’era la preoccupazione di allargare i confini del proprio mercato: le piazze erano ampie per tutti.
Oggi le piazze sono strette. Sono arrivati concorrenti che un tempo non avevamo e di alcuni ci viene addirittura complicato pronunciare il nome.
Insomma, tante cose sono cambiate e i clienti dobbiamo andare a cercarli uscendo dai nostri spazi abituali.
E appena esci dalla tua bolla di comfort eccola lì, quella paura che ancora non conoscevamo: il giudizio degli altri. O almeno non la conoscevamo come conseguenza del comunicare sul web.
Nell’episodio del podcast EROI che trovi all’inizio di questo articolo, ti propongo l’ascolto di un passaggio di quel webinar a cui facevo riferimento; giusto pochi minuti che si chiudono con una riflessione: i nostri sogni, i traguardi che vorremmo raggiungere attraverso il nostro lavoro, come possiamo pensare di arrivare dove vorremmo se non superiamo le nostre paure?
Ti invito ad ascoltarlo. E tornare ad ascoltarlo tutte le volte che sentirai quella vocina: “Ma chi ti credi di essere?”. Forse – credo, spero – ti riporterà nella direzione dei tuoi traguardi e dei tuoi sogni.
Se ti interessa proseguire, abbiamo parlato di raccontarsi online sul web anche in questo articolo.
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